Se solo avessi una corda, costruirei un ponte che colleghi me a te. Basterebbe per colmare la distanza inevitabile che ci separa.
Pochi metri pochi secondi in un universo in cui spazio e tempo sono coperti da ben altre reti.
Una corda lunga abbastanza perché possa poggiarci i miei piedi, uno dopo l’altro, e le mie mani a destra e a sinistra. Una corda lunga quanto basta per costruire un ponte tibetano tra le nostre sponde. Un ponte che ci unisca superando il baratro che ci divide, quella gola fra due rocce, quello spazio aperto in cui il verde dell’erba è cosi intenso che l’acqua del fiume che ci scorre accanto perde la sua trasparenza restituendo al cielo un verde più acceso.
Un ponte tra le nostre alture dove ci asserragliamo a volte solo per il desiderio di isolarci dalle inutili chiacchiere, dalle insopportabili quotidianità che l’abitudine ci regala.
Corde tese tra sponde, tre funi a triangolo e gli stralli. Più sono tese le funi, più stabile il ponte che ci separa. Passeggiata irresistibile per chi non teme il vuoto, non teme il vento, non teme le oscillazioni. E in Italia di ponti tibetani da attraversare ce ne sono diversi. Il più alto d’Europa in Valtellina, sospeso a 140 metri d’altezza. Esperienza da provare almeno una volta per superare le paure, il Ponte sul Cielo, che attraversa il torrente Tartano.
Vertigini, capogiri, lasciamoli agli altri. Mentre dalle due sponde opposte percorriamo il medesimo ponte. Ci incontreremo a metà oscillando lievemente nel vuoto. Un cielo azzurro sopra di noi, un torrente verde sotto di noi. Non lasciamoci cadere, rosso di passione.