Restare fermi ad ascoltare le improbabili notizie di un telegiornale. Cronaca nera e incidenti, Covid e campagne di vaccinazioni. Migrazioni.
Il mare Mediterraneo e le sue rotte, gli sbarchi, gli hotspot, le Ong, le inchieste, mentre i corpi precipitano verso il fondo, zavorrati all’eco della proprie grida rimaste inascoltate. Sul fondo. Nessun altro rumore se non il silenzio.
Migrazioni, ricerca incessante di sopravvivenza, lì dove tutto sembra infinitamente più accessibile.
Sulle sponde altre del Mediterraneo, il continente africano assiste a inarrestabili partenze.
“In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l’equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo”, iniziava così uno dei tuoi libri preferiti, La mia Africa, di Karen Blixen.
All’Africa ci avevi già pensato, “Risalire quel fiume era come compiere un viaggio indietro nel tempo, ai primordi del mondo, quando la vegetazione spadroneggiava sulla terra e i grandi alberi erano sovrani”, leggendo Cuore di tenebra di Joseph Conrad.
E sei partito per visitarne almeno una piccolissima parte di quel continente così vasto, così immenso da lasciarti esterrefatto per i suoi colori sempre decisi. Un mese e al tuo ritorno non eri più lo stesso, una gran voglia di ripartire. Mal d’Africa dicevi sorridendo amaramente.
Africa, con le sue guerre e le sue ricchezze, con la sua povertà e le sue contraddizioni.
Nel giorno, 25 maggio, in cui si celebra la Giornata mondiale dell’Africa, anniversario della costituzione dell’Organizzazione per l’unità africana avvenuta nel 1963 per celebrare l’indipendenza riconquistata da molti paesi, celebro te che dal tuo ultimo viaggio non sei più tornato. L’Africa è il tuo paese, ora.