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L'ultimo animale

L'ultimo animale

Due amiche, a volte nemiche, una casa, due procioni e un bruco. La convivenza genera strani mostri che si nutrono di invidia e noncuranza.

Il racconto di una storia nata mischiando una serie di contaminazioni culturali che vanno dal Bacio di Giuda dipinto da Giotto ai Due gentiluomini di Verona di Shakespeare, da Che fine ha fatto Baby Jane ad Arancia Meccanica. La barese Caterina Filograno ha scritto e diretto L’ultimo animale, opera che sarà messa in scena sabato al teatro Kismet di Bari, con le attrici Francesca PorriniAlessia SpinelliEmilia TiburziAnahì Traversi e Carlotta Viscovo. Abbiamo parlato con Caterina Filograno del suo spettacolo, di teatro e di come si intrecciano nella vita che viviamo.

Quando e come nasce la tua passione per il teatro?

Nasce a Roma mentre studiavo Giurisprudenza. Mio padre non vedeva per me un futuro da avvocato e mi consigliò di frequentare dei corsi teatrali, cosa che ho fatto per due anni. Poi con i soldi ricevuti per la laurea mi sono iscritta ai seminari estivi della Guildhall di Londra. Tornata in Italia Luca Ronconi vede in me qualcosa e mi ammette alla scuola del teatro Il Piccolo.

Porti in scena una lotta di classe, lotta di potere. Uno spettacolo che denuncia il sottile equilibrio nel vivere tra chi il potere lo esercita e chi lo subisce.

È uno spettacolo che vuole analizzare le dinamiche di potere che si insinuano in ogni relazione, amore, amicizia, conoscenza. Ho voluto traslare tutto ciò intorno al concetto del cibo, con un rimando continuo tra chi non ne ha e chi lo ha e lo spreca. Le due protagoniste non ne hanno bisogno e lo sprecano, i due procioni che vivono con loro si, ma restano sempre affamati e senza cibo, nonostante le continue promesse e sino alla ribellione finale.

I rapporti umani, tradimenti, invidie sono uno specchio della realtà?

Si. Ho letto questo saggio di René Girard “Shakespeare. Il teatro dell’invidia”, che gira proprio intorno a questo punto. Ma penso anche alla dinamica che si creano intorno ai Due gentiluomini di Verona di Shakespeare, due amici di innamorano della stessa ragazza e se la contendono, non tanto per amore, ma per vincere una gara in cui lei è il premio. L’invidia ci viene instillata dai canoni di questa società, soprattutto dai social che ci chiedono continuamente di invidiarci a vicenda.

L’esistenza è quindi un compromesso?

Ci troviamo a camminare nel mondo rispondendo ai dettami che ci sono stati imposti. Come diceva Hobbes la vita che viviamo è un compromesso rispetto alla nostra natura innata.

Quali sono, se ci sono, i limiti della nostra società?

L’apparenza è sicuramente un limite. Si chiede continuamente ai corpi di apparire in un certo modo, soprattutto ai corpi femminili. Il mio spettacolo vuole essere un manifesto alla libertà, un inno alla follia.

A chi vorrebbe dare ancora voce?

Mi piacerebbe darla alle persone più adulte, la vecchiaia è ancora un tabù, soprattutto in teatro. Vorrei fare uno spettacolo con solo attori 80enni. Oggi si ritiene che un anziano sia poco interessante, come se non avesse nulla da dire al mondo. Non è così e mi piacerebbe mettere in scena le loro parole e pensieri.

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