Le case di periferia, costruite tutte uguali, sulle pareti i colori delle vernici improbabili, sono il contraltare alla ricchezza della pietra.
La facciata principale della basilica Madonna dei Martiri di Molfetta guarda la città a sud, il suo biancore giallo illumina anche la notte. La porta aperta sulla piazza è un invito ad entrare, superare la soglia è viaggiare nel tempo, attraversare secoli, ascoltare architetture che si intrecciano, il loro è un soffio di pellegrini in transito, fermi d’un tratto e raccolti in preghiera.
Il santuario eretto nel 1829 è un ampliamento visibile e riconoscibile di una preesistente chiesa medievale del 1162, tracce non troppo nascoste sopravvivono in una serie di linee che si incontrano nella cupola e nelle arcate dell’altare maggiore. A due passi dal mare lungo la linea adriatica che da Brindisi portava alla grotta di San Michele, la chiesa era una delle tappe dei pellegrini provenienti dalla Terra Santa.
Con pietre portate da quella terra venne realizzata nel XVI secolo la ricostruzione del Santo Sepolcro di Cristo, ora collocata in ambiente ipogeo a destra nella zona dell’abside. La basilica custodisce al suo interno tra le colonne marmoree, i capitelli scolpiti, le ampie navate e l’organo a canne, l’icona della Vergine dipinta su legno di cedro del 1100. La Vergine dei Martiri salvò Molfetta dal terremoto, a lei la città è devota. Alle 15 dell’8 settembre ogni anno la statua della Madonna lascia la basilica e a bordo di un peschereccio prende il mare con un corteo di altre barche, fino alle 20 quando rientrata nel porto viene tradotta in cattedrale dove soggiorna fino alla domenica successiva quando rientrerà nella sua dimora accompagnata dal popolo festante.
Nella luce della pietra e del sole che filtra dai vetri, tra le linee che si intrecciano, si scoprono voci lontane, giungono dal mare.