Le sue ceneri, per sua volontà, sono sparse in un campo di fragole selvatiche e nessuno si sarebbe accorto di lei, tranne il vento.
Se un giorno Roger Gunderson cercatore di tesori da garage sale non avesse acquistato un lotto per 260 dollari.
“Vengo con la mia vita e la mia vita è raccolta in una serie di scatoloni” disse di sé Vivian Maier e in quei 260 dollari di scatoloni era racchiusa tutta la sua vita. Centocinquantamila negativi.
Riservata sino alla patologia, diffidente, viveva racchiusa in un mondo tutto suo fatto di infinite letture di giornali che impilava nella sua stanzetta da baby sitter, mostre, film, corsi universitari, conferenze. Le persone le osservava da lontano, quando erano semplicemente loro stesse. Tutto scorre e lei scatta per immortalare quel fluire. Cercava nelle pieghe la verità, camminava a piedi per New York cercando ciò che ancora resisteva all’omologazione. Cercava la vita. Beveva l’acqua di cottura delle verdure e ai buffet rubava il cibo e lo nascondeva nelle tasche del suo cappotto. Ha eliminato dalla sua vita il superfluo. Si è disinteressata di tutto ciò che non le interessava. Come i soldi. Non ha mai incassato i rimborsi delle tasse. Non ha mai venduto una sua fotografia. Scattava per sé. Metteva da parte i soldi per acquistare gli strumenti del suo lavoro: tre Rolleiflex, una Zeiss e una Leica.
Non sorrideva mai nei suoi autoritratti, solo una volta, solo per caso, si sposta l’operaio che trasporta uno specchio e lei si vede lì riflessa e abbozza un sorriso, era il 3 febbraio 1955. Per il resto il suo sguardo era sempre altrove, un po’ più in alto rispetto al nostro, il suo ci sorvola.
Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m’avevano data. Lei che era una, nessuna e centomila.
Le scatole passano di mano in mano, di compratore in compratore. John Maloof acquista quella più grande e poi rivende alcune di quelle foto su Ebay a 9,99 dollari. Tra i compratori c’è un docente di fotografia della scuola di Chicago, Allan Sekula. La cerca, scrive a Maloof per sapere chi fosse l’autrice di quelle foto, il giorno dopo lei muore. Viveva a Chicago come una clochard, ignara della sua riscoperta. Dell’attenzione che le sue foto custodite gelosamente nei suoi scatoloni stavano suscitando.
Non ne sarebbe stata contenta. Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori. Lei che voleva essere nessuna.
Vola via, quando il mondo si accorge di lei. Il primo novembre del 2009 The Indipendent le dedica un articolo “Little Miss Big Shot: Fifties America Exposed - by a French Nanny”, seguirà una mostra al Chicago Cultural Center, un film documentario, svariati libri.Tutti alla ricerca della sua essenza. Chi era Vivian Maier?
Io mi costruisco di continuo e vi costruisco, e voi fate altrettanto. E la costruzione dura finché non si sgretoli il materiale dei nostri sentimenti e finché duri il cemento della nostra volontà. Centomila Vivian.
Quanto di lei c’è nelle foto che possiamo ammirare? non troppo. Non ha scelto lei quali pubblicare e quali no, non ha scelto lei il taglio, i toni. Una nostra personalissima Vivian Maier, non necessariamente la sua versione di sé. Una. La facoltà d'illuderci che la realtà d'oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall'altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d'oggi é destinata a scoprire l'illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita.
Fotografa un’ombra, un padre con la sua bambina il volto nascosto da un palloncino, la complicità di due bambine che si abbracciano, la risata fragorosa di una donna in pelliccia, il passeggiare lento di un uomo tra i viali di Central Park. Fotografa la vita che la circonda, ma non la sua. Che ha tanto tenacemente voluto custodire. Ne conosciamo frammenti ora, attraverso le sue opere.
Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire. Una, nessuna, centomila volte.