Ho un nodo in gola, hai detto prima di scoppiare in un pianto ininterrotto. E non era il bolo isterico, era un senso di oppressione che arrivava
dal profondo. Hai visto la cattiveria del mondo e sei inorridita come se non ci fosse un domani, eppure ad un tramonto segue sempre un’alba. Un nodo, un buco nero che tutto assorbe, energie e visioni, le fa perdere in sé creando un vuoto, cosmico.
Un nodo, lo hai fatto ad una cima prima di gettare l’ancora, te lo aveva insegnato il lupo di mare che ti aveva invitato a guardare oltre la lupa che copre coste e paesaggi e fa perdere l’orizzonte. Un nodo che non può sciogliersi, se non usando la scure, un taglio netto, longitudinalmente. Quel nodo gordiano dall’intricatissima soluzione perdeva ogni sua difficoltà.
Nel fazzoletto che stringevi in mano, il nodo era un modo per ricordare quel giorno, quell’ora, quel momento, l’attimo preciso in cui tutto sparisce come risucchiato e la mente smette di mentire e decide per sé un destino da realizzare. Quel nodo lo avevi fatto con precisione chirurgica, come se l’allenamento al quale si sottopongono i medici fosse per te usuale, tu che di suture ne avevi fatte tante finanche ai vasi tranciati, dando al sangue la possibilità di scorrere ancora come fiume il cui rumore, lo ricordavi bene, coincideva con “un battito appena del cuore”.
Nodi tra i tuoi capelli in una mattina in cui la tramontana aveva sferzato il litorale e te, come tamerice.
Una cordicella tra gli scogli, un nodo scorsoio, nuovo modo di pescare? Catturare forse qualche lucertola.
I nodi li avevi sciolti tutti, i fiumi erano tornati negli alvei, il buco nero magicamente una stella senza tempo.
Azzurro mare.