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Piccinni, suona la sua storia scritta in due secoli

Piccinni, suona la sua storia scritta in due secoli

Le nove muse continuano a proteggere e ispirare il teatro Piccinni, che non ha mai avuto una vita facile. Più volte il suo corso è stato fermato.

Ma sempre il teatro che fu secondo solo al San Carlo di Napoli in tutto il Meridione, torna. Torna a splendere e a risuonare. 

Dopo nove lunghissimi e travagliati anni di lavori di restauro e poi corsi e ricorsi che qui sembrano prassi in ogni pubblico lavoro, si alza il sipario.

Ma la sua storia racconta più delle beghe burocratiche e delle lungaggini a cui ha assistito. 

Ventunomila abitanti, pescatori e contadini, e un teatro stabile con sedie di legno, nel palazzo del Sedile. La città di Bari nel 1836 decide di dare prestigio all’arte di Melpomene e iniziano così i lavori per la realizzazione del teatro Piccinni.

Fu l’allora arcivescovo di Bari, Basilio Clery il primo ostacolo sul cammino del Piccinni con la sua indignazione per la realizzazione di un “tempio laico prima di uno religioso” e così il Piccinni dovette attendere l’ultimazione della chiesa di San Ferdinando prima di poter essere ultimato. Quattordici anni dopo il Piccinni vide la luce. Libero da ogni onta d’offesa. 

Le prime note che risuonarono il 30 maggio del 1854 furono quelle della Poliuto di Donizetti. Nacque senza nome, per riservatezza dell’allora Maria Teresa d’Asburgo regina delle Due Sicilie, che ne rifiutò l’intitolazione, ci volle circa un anno per scegliere di dedicarlo al compositore barese Piccinni.

Nasce in tempi tutt'altro che floridi, il vaiolo, la guerra doganale con la Francia avevano piegato da anni tutta la Puglia. Nasce senza grandi fondi, anzi in totale ristrettezza, ma subito spicca il volo. 

Giulio Petroni della sua prima scrisse “che ti pareva un luogo incantato, un palazzo di fate”

Quattro file di palchi in una sala a ferro di cavallo, un palco reale e un loggione per farsi ammirare da 775 persone. Nato con un velario dipinto da Luigi de Luise e Leopoldo Galluzzi, che raffigurava l’Olimpo le sette muse e Apollo sul suo cavallo Pegaso, di quelle sette muse rimane lo spirito che ispira il teatro che negli anni ha accolto re Umberto I e la Regina Margherita che assistettero alla Traviata di Verdi, Pietro Mascagni che venne a Bari per ascoltare la sua Cavalleria Rusticana.

Arrivò pure Puccini, sul clamore suscitato dalla rappresentazione della sua Manon, di cui parlarono tutti i giornali d’Italia. 

Messa in scena da Vittorio Scarano fu un tale successo che il sindaco Giuseppe Re David scrisse al compositore lucchese invitandolo ad ascoltare la sua opera suonata in terra di Bari. Puccini ebbe una tale accoglienza che più e più volte ricordò Bari, il suo teatro e la musica che qui ascoltò.

Così il Piccinni risuonò almeno sino a quando non fu chiuso per non oscurare il Petruzzelli, giovane e ambizioso concorrente, nato nel 1903.

Fu riaperto anni dopo e negli anni venire e per quasi vent’anni ha dovuto reggere tutto il peso di un’arte che senza di lui a Bari si sarebbe spenta. Come due cugini che non troppo si amano, ma si sostengono nei tempi bui. La storia del Piccinni e del Petruzzelli si intrecciano per quasi cent’anni. Le fiamme spengono il Petruzzelli, in suo soccorso il Piccinni e poi il contrario, quando il primo riapre, il secondo chiude. E ora che finalmente entrambi sono aperti si spera che il tempo li abbia fatti diventare fratelli.

A quasi due secoli dalla sua nascita, il Piccinni rinasce ancora una volta. Dopo il silenzio che per nove anni è stato un frastuono per la città, le prime note che le sue mura risentiranno saranno quelle del compositore a cui deve il nome e poi, il nuovo inizio sarà affidato ad una giovanissima violinista, Maria Serena Salvemini, 14 anni, eccellenza del Conservatorio di Bari per due anni consecutivi. Eseguirà Introduzione e Rondò capriccioso del compositore parigino Camille Saint Saens, riportando il Piccinni nella sua dimensione. Risuonare portando musica e armonia alla città. 

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