Partiamo da un agrume, seguiamo il consiglio di Munari e scopriamo passo dopo passo che tutto è una imitazione della natura.
Anche il packaging e per capirlo basta una arancia “questo oggetto è costituito da una serie di contenitori modulati a forma di spicchio, disposti circolarmente attorno a un asse centrale verticale [...] L'insieme di questi spicchi è raccolto in un imballaggio ben caratterizzato sia come materia che come colore: abbastanza duro alla superficie esterna e rivestito con una imbottitura interna, di protezione tra l'esterno e l'insieme dei contenitori” spiegò Bruno Munari.
Alla base c’è sempre una scelta illuminata, come quella di Luigi Leone che all’inizio del Novecento immaginò le prime “scatole da passeggio da mettere nelle borsette delle dame e nel taschino dei gentiluomini, da esibire in società”. Caramelle, banalizzeremo oggi, ma le “pastiglie digestive” Leone erano già un secolo prima, un successo, dal 1857 per l’esattezza, un modo per concludere i pasti in dolcezza, come Camillo Benso conte di Cavour che amava quelle alla violetta. Qualche decennio e arriviamo alla Coccoina, colla fatta di mandorle, fecola di patate e glicerina, con un profumo che sa di infanzia e cose buone “la colla bianca solida da ufficio che stupisce ed entusiasma quanti la usano” ripeteva il claim del barattolo di alluminio con la iconica scritta blu.
Anni Venti, una dipendente della Buitoni, Luisa Spagnoli, ha una intuizione, creare un cioccolatino utilizzando gli scarti di granella di nocciola e cacao e inserendo al centro una nocciola intera, per impreziosirlo. Lo chiama inizialmente cazzotto, per la forma a pugno chiuso con la nocca del dito medio che spunta, poi sceglie di avvolgerlo nella carta stagnola e di inserire nella confezione un cartiglio, opera del futurista Federico Seneca, nasce così il Bacio Perugina.
E ancora il Campari con la prima soda monodose affidata all’artista futurista Fortunato Depero, il cono è un bicchiere da cocktail rovesciato, nessuna etichetta, solo il nome impresso nel vetro e la magia è fatta.
Tutto può essere bellezza, anche una latta di polipropilene, se nasce dalla mano del chimico premio Nobel Giulio Natta che inventa un nuovo materiale e dell’architetto Roberto Menghi che nel 1956 con il suo secchio o canestro o annaffiatoio vince il Compasso d’oro, l’Oscar per l’imballaggio e un posto d’onore alla mostra dell’imballaggio realizzata dal Moma di New York.
Un secolo del packaging italiano raccontato nella piccola mostra Saperi Visibili, nell’ambito della Biennale dei racconti d’impresa, a Spazio Murat a Bari sino al 28 novembre.
Un cammino tra oggetti di uso comune che fanno parte della quotidianità distratta, ma che nascondono un mondo di ricerca, invenzione, innovazione, talento e bellezza.
Come la Coppa del Nonno, il gelato monodose della Motta, il primo in assoluto ad essere stampato in plastica ad iniezione, con lo scopo di realizzare un involucro che potesse essere riutilizzato. La forma che richiama la tazzina di caffè è stata affidata a Salvatore Gregorietti, così come il colore che è esattamente il Pantone dell’espresso, il color moka.
Alzi la mano chi non ha collezionato le sorpresine del Mulino Bianco, racchiuse in scatole simili a quelle dei fiammiferi con piccoli doni dedicati ai bambini. “…dovevano essere, caratteristica per cui io mi sono sempre battuta, oggetti che il bambino poteva portare con sé a scuola o in cortile, per poterci giocare insieme agli amici o per scambiarli con qualche altro oggetto della serie”. Un successo clamoroso, dalle stringhe realizzate in 15 milioni di esemplari alle altre 750 differenti sorprese prodotte tra il 1983 e il 1990 che se fossero messe in fila una dietro l’altra avvolgerebbero la terra una volta e mezza.
La storia di quando gli oggetti non erano semplici oggetti, quando il design e l’arte erano al servizio di tutti e oltre che prendere, le grandi società ridavano ai cittadini, in termini di bellezza e cura. Chiudiamo il viaggio con una delle più iconiche invenzioni industriali, l’ovetto Kinder. Fu William Salice, entrato in Ferrero come rappresentante e poi diventato stretto collaboratore di Michele Ferrero, ad inventarlo. Aveva già contribuito alla nascita del Pocket Coffee e del Ferrero Rocher, ma fu l’ovetto il suo capolavoro assoluto. Alla base c’era un desiderio “che ogni giorno possa essere una piccola Pasqua, laica e a buon mercato, per ogni bambino”.