E se fossero i mari a guardare noi? A parlare di vita da una prospettiva liquida, come se tutto alla fine riconducesse all’acqua?
C’è Atlantica la più grande, 180 milioni di anni “anziana e burbera, ma non sprovvista di una certa tenerezza”. C’è Mediterranea 5 milioni di anni, una bambina agli occhi della sorella maggiore “adora scintillare, Icaro e quando grandi banchi di animali si spostano nella corrente”.
C’è un piano che hanno in serbo tutte le sorelle, anche Artica e c’è l’essere umano con i suoi sbagli, i suoi tentativi di remare contro natura.
“Se avessimo dato loro un po’ più desiderio e un po’ meno volontà?” chiede Mediterranea. “Sapevamo solo quello che sapevamo” le risponde laconica Atlantica.
Le due sorelle si parlano con la saggezza di chi vede il tempo scorrere da una eternità, sapendo che tutto andrà come deve andare. C’è la nostalgia di un tempo in cui le sorelle erano tutte unite “contemplo lo spazio al di là dell’atmosfera. Lo spazio è l’occhio in cui vorrei riflettermi” dice malinconica Atlantica.
Quando le terre emersero squarciando il blu, “il dolore l’ho dimenticato” ma nel ricordo resta la speranza “che saremmo tornate a incontrarci”.
Lettere tra due mari di Siri Ranva Hjelm Jacobsen, illustrato da Dorte Naomi, edito da Iperborea e tradotto da Maria Valeria D’Avino è un piccolo libro poetico. Il tempo di un respiro che sa di sale che ridimensiona l’ego e ci fa guardare oltre il nostro sguardo. I mari insegnano l’ineluttabilità delle cose. Dopotutto “perfino le stelle lasciano andare i loro figli”.