Quando Oscar Wilde fu arrestato il 6 aprile del 1895, portava sotto il braccio un libro giallo, come riportato dalla Westminster Gazzette.
Un particolare evidentemente di un certo rilievo.
Gialla era la copertina di tutti i libri di letteratura scandalistica ai quei tempi, e l’Aphrodite di Pierre Louis che lui portava sottobraccio era troppo libertino per quei tempi.
Ma il giallo era anche un simbolo di ribellione ai valori dell’epoca vittoriana. Era utilizzato da chi tendeva alla modernità e voleva respirare una boccata di aria fresca nelle arti. E proprio questa ribellione viene utilizzata da Wilde nel Ritratto di Dorian Gray, quando il protagonista in bilico tra il conformismo e la ribellione, sceglie la seconda dopo aver ricevuto da un amico un libro giallo.
Caldo, opaco e leggero come il giallo di Napoli ospite delle tavolozze di ogni artista.
Tutti dipingevano utilizzando quel giallo tenue che sfidava la sua stessa anima rivoluzionaria. Impossibile farne a meno. Era in ogni quadro, tessuto, arazzo.
Quando Cezanne vide nella tavolozza di un amico che mancava, stupito disse “Dipingete solo con questi? Dov’è il vostro giallo di Napoli?”. Imperdonabile mancanza.
Un amore folle che univa tutti gli artisti, Salvador Dalì lo ammantava di magia dicendo che veniva estratto direttamente dal Vesuvio, sacro cuore della città.
Gialle, nella sfumatura orpimento, erano le pareti della tomba di Tutankhamon, le pareti del Taj Mahal, l’evangelario miniato irlandese di Kells. Un tono caldo e brillante vicinissimo all’oro, così tanto che l’imperatore Caligola fece sciogliere ogni cosa di quel colore nel tentativo vano di arricchirsi.
Un colore antichissimo, il primo ad essere utilizzato dagli egiziani insieme all’azzurrite e alla malachite verde. Cennino Cennini nel suo libro dell’arte lo definisce un “colore meraviglioso”.
“Van Gogh ha cercato un po' di giallo quando non c'era più il sole. Bisogna cercare, cercare sempre” diceva di lui Jean-Luc Godard.
Van Gogh, che lo amava più di tutti gli altri colori, nelle lettere al fratello Theo parlava spesso delle sue tele come di “sinfonie di giallo”. Sinfonie che oggi stanno appassendo, anno dopo anno a causa della tonalità scelta.
Il giallo cromo, una sfumatura bellissima ma particolarmente instabile. Nasce con la scoperta di un cristallo rosso all’interno delle miniere d’oro di Beresof. Dalla crocoite veniva estratto questo metallo, il cromo con le sue infinite sfumature dal rosso al giallo limone. Stupendo, caldo e vibrante, tanto da sembrare vivo. Ma troppo instabile a contatto con gli altri pigmenti. Nel tempo si adombra, invecchia. Proprio come stanno facendo i girasoli di Van Gogh.
E quel giallo che per lui era “capace di affascinare Dio” brilla, splende e sfavilla nei suoi quadri in ogni dove, in un campo di grano, su un tavolo, una parete, un cappello e naturalmente in un girasole.
“Portami il girasole ch’io lo trapianti / nel mio terreno bruciato dal salino, / e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti / del cielo l’ansietà del suo volto giallino” scriveva Eugenio Montale.
Quell’ansia di un colore che è in divenire ma è già completamente se stesso.
Ansia di colore diventata apprensione nel fisico Jean Baptiste Perrin, mentre aspettava di scoprire se il suo esperimento aveva successo.
Il fisico utilizzò il giallo gommagutta, per provare il moto browniano. Il suo tentativo riuscì e questo gli valse nel 1926 il Nobel per la Fisica.
Il gommagutta è di per se un colore immenso, il colore della luce per Rembrandt che lo utilizzava sempre nei suoi dipinti per creare quell’alone intorno ad ogni figura, tipico delle sue opere, ma anche un generoso e versatile. Si è messo al servizio della necessità di trovare la giusta sfumatura in ogni cosa. Così unendosi al blu di Prussia ha fatto nascere il verde Hooker, che è il colore perfetto per dipingere le foglie.
Gialle come le “favolose candele romane che bruciano bruciano…” di Jack Kerouac. Gialla come la sala del trono all’interno della Città Proibita. Una tonalità di esclusivo appannaggio della famiglia reale.
Il giallo Imperiale vietato alla gente comune con un editto del 618 d.c.. Nessuno poteva utilizzarlo. E così lui brillava sui vestiti della potentissima imperatrice madre Cixi che governò, avvolta in quel particolare giallo, per 47 anni.
Giallo imprevedibile come il giallolino passato dal fulgore dei quadri di Rubens e Giotto all’oblio. Scomparso letteralmente nel 1750. Nessuno l’ha più utilizzato né sapeva che fosse esistito, sino al 1941 quando il ricercatore Richard Jacobi trovò dello stagno nel giallo di diversi dipinti e provando a combinare monossido di piombo con diossido di stagno riportò alla luce quel colore oramai dimenticato.
E infine come dimenticare il giallo oro, quello che consentì ad Enrico VIII di sconfiggere in regalità e portamento, Francesco I di Francia. I due si incontrarono nelle Fiandre fra Ardres e Guînes nel giugno del 1520.
L’incontro doveva segnare il destino dell’Europa e per non perdere terreno e potenza i due reali si sfidarono a suon di opulenza, ricchezza e bellezza in quello che fu chiamato il Drappo d’oro. Un accampamento sfarzoso, sino all’inverosimile. Vinse Enrico VIII che fece dipingere tutti i tetti di oro.