Nel 1742 Goldbach scrisse una lettera sostenendo che ogni numero intero maggiore di 5 può essere scritto come somma di tre numeri primi.
Il destinatario di questa missiva era Eulero che gli rispose “Ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi”.
Nasce così la congettura di Goldbach, tanto semplice quanto indimostrabile. Ci hanno provato in tanti, fallendo.
Tra questi zio Petros, l’affascinante e misterioso personaggio del libro di Apostolos Doxiadis Zio Petros e la congettura di Goldbach (edito da Bompiani).
Uno zio che per la sua famiglia non è altro che un uomo che ha sprecato l’intera sua vita per dimostrare una cosa indimostrabile, un folle che ha gettato alle ortiche il suo talento, uno sconclusionato che si è autorecluso ricacciando al mittente lusinghe, fama e successo. Per tutti tranne che per uno, il suo nipote prediletto, incuriosito da questo zio che scopre essere un luminare della matematica. “Coloro che l’esercitavano abitavano un autentico paradiso concettuale, un maestoso reame poetico assolutamente inaccessibile al volgo ignaro di quella scienza” racconta il ragazzo che decide di diventare anche lui un matematico, proprio quando inizia a conoscere e comprendere questo zio che ai suoi occhi è un eroe romanico che ha immolato la sua intera vita al suo grande amore. Ed era questo, non tanto i numeri in sé ad affascinare questo ragazzino, “la conformazione psicologica del vero matematico è vicina a quella del poeta o del compositore o, in altre parole, di una persona interessata alla creazione della bellezza e alla ricerca dell’armonia e della perfezione”.
E questa persona ai suoi occhi era zio Petros che citava tuonante David Hilbert “Noi dobbiamo sapere, noi sapremo; in matematica non esistono ignorabimus” trasportando un giovane cresciuto in una famiglia di pratici e pragmatici imprenditori in un mondo alto, fatto di ideali puri, di bellezza e di poesia.
Il nipote, voce narrante del libro, cresce in bilico tra la massima ammirazione verso un uomo che forse ha risolto l’irrisolvibile e il timore che sia tutto un bluff, che zio Petros si sia arreso quando si è reso conto di non essere abbastanza bravo per scalare quella vetta.
“Il proverbiale “matematico folle" era più realtà che fantasia. Vidi sempre di più nei grandi esponenti della Regina delle scienze delle falene attirate da un tipo di luce sovrumana, splendida ma ostile e distruttiva. Alcuni non avevano potuto sopportarla a lungo, come Pascal e Newton, che abbandonarono la matematica per la teologia. Altri avevano scelto a caso improvvisate vie d’uscita - viene subito in mente la folle audacia di Evariste Galois, che lo condusse a morte prematura. Infine, ci furono cervelli straordinari che cedettero e crollarono. Georg Cantor, il padre della Teoria degli insiemi, trascorse l'ultima parte della vita in un manicomio. Ramanujan, Hardy, Turing, Gödel e tanti altri erano falene eccessivamente innamorate di quella luce; le si avvicinarono troppo, si bruciarono le ali, caddero e morirono”.
Follia o eternità?
Quella vetta, quell’Olimpo irraggiungibile ai comuni mortali è stato raggiunto? Siede Petros Papachristos tra gli dei? Chissà. Ma ciò che ci ha fatto afferrare è già di inestimabile valore. E lo è agli occhi di chiunque sappia guardare.
“Non c’era bisogno di comprendere la matematica per accorgersene. Lo scintillio dei suoi occhi e un’energia indefinibile che promanava dalla sua persona erano una testimonianza sufficiente. Era perfetto”.