“Uno nasce e poi muore. Il resto sono chiacchiere”. Non ci sono edulcorazioni della realtà, giri di parole nelle vignette di Altan.
La verità è tutta lì chiara e senza filtri.
Figlio di quel Carlo Tullio Altan padre dell’antropologia culturale italiana, un uomo che fece la Resistenza, abbracciò l’idealismo crociano e sostenne l’importanza di una religione civile.
Avrà preso da lui quella sua chiara visione della realtà umana.
Altan mescola genialità, irriverenza, sagacia e un pizzico di cinismo, in una mistura che risulta sempre assolutamente attuale e vera.
Nella mostra Altan. Pimpa, Cipputi e altri pensatori, realizzata al museo Maxxi di Roma (visitabile sino al 12 gennaio) e curata da Anne Palopoli e Luca Raffaelli ci si può immergere nel mondo di Altan, sfogliare i primi disegni su album alla ricerca di uno stile personale, dove uno dei suoi personaggi dice: “Non voglio portarvi giustificazioni solo la possibilità di non riconoscere me stesso il giorno dopo”. E’ già lì quel pensiero illuminato, che negli anni renderà ancora più conciso. Si possono scoprire le tavole su cui è nato Trino, Dio non onnipotente, che ha avuto il compito da un altro Dio di creare il mondo.
E il pensiero di un Dio fallace o al meglio assente torna a più riprese sino a quel colpo di genio che è: “Se Dio c’è è all’opposizione”.
Nel mezzo c’è “Storia di sesso e speranza miste alla ricerca di Dio attraverso quel lurido labirinto che è la vita”.
Un pensatore, ancor prima che un disegnatore.
Francesco Tullio Altan nasce a Treviso nel ’42, studia a Bologna, frequenta la facoltà di Architettura a Venezia e poi, per caso vola in Brasile al seguito della troupe cinematografica dell’amico Gianni Amico e nel 1973 pubblica su Linus le sue prime trenta vignette, neanche una parola, solo disegno. Due anni dopo nascono i suoi due personaggi più famosi, che continuano oggi da allora ad essere contraltare l’uno per l’altro. La Pimpa, il cagnolino bianco a pois rossi, un regalo per sua figlia che a due anni gli chiese un cucciolo. Lui, che da tutta una vita, dà forma ai suoi e nostri pensieri, disegnò il cane che tutte noi avremmo voluto, che ci ha accompagnate in un mondo ideale con fiori che parlano e pesci canterini. E poi Cipputi l’operaio metalmeccanico comunista amareggiato da un mondo che non gli piace più. La prima personaggio di un mondo ideale dove chiunque vorrebbe vivere e il secondo immerso nella disillusione, nella caduta degli ideali, nella piccolezza umana.
Altan ha lampi geniali che annota subito su carta e su quelli realizza poi il disegno che mantiene quella semplicità, quei colori che ci ricordano l’infanzia, quando a scuola esattamente con quegli accostamenti abbiamo disegnato il nostro mondo. Forse per riportarci ad un’epoca in cui tutto ci era immediatamente chiaro.
Non si ferma mai e tra la Pimpa e Cipputi ci sono Kamillo Kromo, il camaleonte che per natura cambia colore per adattarsi al mondo, ma fa fatica ad accettarsi. Ugo e la Luisa esempio perfetto della coppia media italiana, così diversi, così disincantati, due mondi opposti che si incontrano e non si lasciano mai.
E naturalmente la piccola Olivia Paperina, un dono per la sua nipotina Olivia.
Altan è sempre lì, ci tiene in bilico tra una risata e una illuminazione fulminea.
Entra nella questione femminile, con quel suo bagaglio di discussioni, ovvietà, parole trite e senza senso e con quel suo tocco lieve ma al tempo stesso deciso, in un tripudio di rosa fa dire: “Non vorrei aver commesso un’imprudenza a nascere donna”. Ed era il 2008.
Tutto quello che c’era da dire, lui l’ha già detto. Tutte le questioni da affrontare lui le ha già affrontate e oggi il suo Ugo dice:“Sono a un punto morto: non so più che errori fare”.
C’è forse altro da aggiungere?