Scelse il Plaza di New York, con il suo affaccio su Central Park, il vago richiamo a un castello francese,
l’ostentazione di un lusso illuminato da 1650 lampadari di cristallo. Di tutte le sale scelse la Grand Ballroom, lunga venticinque metri e larga tredici con soffitti alti sette. La lunga scalinata in marmo con il suo innegabile effetto scenografico contribuì alla scelta.
Tutto doveva essere assolutamente favoloso, unico e irripetibile.
Truman Capote voleva dare il party del secolo, una festa indimenticabili e rendersi così eterno. Per farlo chiamò Evie Backer per allestire la sala a suo piacimento. Voleva lunghi e pesanti drappi rossi per coprire le pareti bianche e oro, volubile cambiò idea, sarebbe stato il tovagliato a portare il fuoco in quella sala. Nessun fiore ma candelabri in oro e smilax, con le sue conturbanti bacche rosse.
Unica concessione al colore, tutto il resto doveva essere rigorosamente bianco e nero, come il dress code. Impose cravatta nera e maschera nera per gli uomini, abito bianco o nero, maschera e ventaglio per le donne. Inizialmente indicò anche i gioielli permessi: solo diamanti, perle e giaietto, pietra scelta per il suo nero brillante. Anche in questo caso cambiò idea, ogni donna era libera di ingioiellarsi come credeva. La principessa Luciana Pignatelli scelse un diamante da 60 carati prestatole dal gioielliere Harry Winston.
L’idea gli venne durante una crociera in Dalmazia sullo yacht di Gianni Agnelli. Voleva celebrare la grandezza raggiunta con il successo planetario di A sangue freddo. Ma sarebbe stato troppo inelegante dedicarla a se stesso, scelse una donna fuori dalla cerchia dei suoi cigni - così come chiamava le ricche e annoiate dame newyorkesi che gli gravitavano intorno - una donna potente come poche, Katharine Graham appena diventata vedova, proprietaria del Washington Post, l’editrice che rese pubblico il Watergate, dando alle stampe gli articoli di Bob Woodward e Carl Bernstein. Il pretesto era tirarla su il morale dopo la morte del marito, Philip Graham che aveva ereditato dal suocero Eugene Graham la gestione del quotidiano.
“Truman mi chiamò quell’estate e disse: ‘Penso che tu abbia bisogno di tirarti su il morale. E ti darò un ballo’...Ero...un po’ sconcertata...mi sentivo un po’ come se Truman avesse comunque intenzione di dare la festa e che io facessi parte degli oggetti di scena”, ed effettivamente fu così.
Capote era un uomo del sud dotato di una certa dose di cinismo e irriverenza, in altre parole nutriva un costante bisogno di irridere tutti e tutto, di beffarsi dell’alta società seduto comodamente sul suo trono immaginario.
Il delitto perfetto sarebbe stato mettere nella stessa sala le persone più ricche, potenti e influenti del mondo e poi vederle mangiare uova strapazzate, salsicce, biscotti, pasticcini, spaghetti con polpette e pasticcio di pollo con panna, una specialità del Plaza.
Voleva entrare nella storia con una festa e ci riuscì. Il Black and White Ball si tenne il 28 novembre del 1966 e vi parteciparono 540 invitati. La lista fu scritta personalmente da Capote su un piccolo taccuino nero che tenne gelosamente con sé giorno e notte per mesi. Scrisse e depennò nomi altisonanti arrivando alla lista definitiva che consegnò alla sua segretaria solo il primo ottobre. “Con questa festa mi sono fatto 540 amici e 1.500 nemici” amava ripetere. Gli inviti furono spediti su una carta bianca bordata di giallo e arancione. I giornali ne parlarono per mesi.
Chi fu escluso dalla lista lasciò New York per non ammettere l’esclusione che avrebbe significato la morte sociale. Pochissime le defezioni: Jacqueline Kennedy declinò l’invito perché la festa si sarebbe tenuta a novembre e lei per tutta la vita non accettò un solo invito nel mese in cui era morto suo marito. Elizabeth Taylor e il marito Richard Burton erano a Roma per girare Cleopatra, Audrey Hepburn e il marito Mel Ferrer erano in Svizzera sulla neve, Greta Garbo, Marlene Dietrich e Ginger Rogers rifiutarono l’invito, non amavano le feste.
Non andarono il direttore d’orchestra Leonard Bernstein, lo scrittore Tennessee Williams ed Harry Belafonte che sarebbe stato insieme a Gordon Parks e Ralph e Fanny Ellison “il nero del ballo in bianco e nero” come sottolineò ironicamente il regista di Shaft.
La lista degli invitati fece sognare e parlare il mondo, fu “un vero e proprio capolavoro di ingegneria sociale”.
Ballarono, risero, chiacchierarono, sorseggiando le 450 bottiglie di champagne Taittinger: Marianne Moore, Frank Sinatra e Mia Farrow, Andy Warhol, Gloria Vanderblint e Lionel Trilling, il maharani di Jaipur, Carol York, Candice Berger. Ancora, una nutrita schiera di scrittrici e scrittori: Harper Lee, Christopher Isherwood, Norman Mailer, Philip Roth, James Baldwin, John Steinbeck e Arthur Miller.
Ballò sulle note di Twist and Shout una delle più grandi attiviste e femminista di tutti i tempi, la giornalista Gloria Steinem. Accanto a lei l’editore della rivista TIME, Henry Luce, l’editore di Condé Nast, S.I. Newhouse, il banchiere Guy de Rothschild, i fotografi Richard Avedon, Cecil Beaton ed Elliott Erwitt e la potentissima direttrice di Vogue America Diana Vreeland. Si è narrato per anni del ballo di Lauren Bacall con il coreografo di West Side Story Jerome Robbins. Le figlie di tre presidenti, Lynda Bird Johnson, Margaret Truman Daniel e Alice Roosevelt Longworth, si scambiarono aneddoti sulla Casa Bianca mentre Brendan Gill, caporedattore del New Yorker, portò sulla pista da ballo Rose Kennedy. Naturalmente era presente Gianni Agnelli con la moglie Marella Caracciolo. I primi ad arrivare furono Alexander Liberman direttore editoriale di Condé Nast e sua moglie.
Tutti brillano di una luce abbagliante, il copricapo disegnato da Bill Cunningham per Isabella Eberstadt è oggi conservato al Museum of the city di New York, mentre l’abito di Katherine Graham si può ammirare tra le sale del Metropolitan Museum.
Capote fu insolitamente sobrio nel suo smoking nero, unico vezzo una maschera nera comprata per 39 centesimi nel negozio di giocattoli Fao Schwartz.
Lasciò agli altri sfarzo ed esuberanza.
Ci fu modo anche di veder nascere una stella, Penelope Tree, rampolla di una ricca famiglia inglese, padre deputato, madre attivista politica, il bisnonno fondò i magazzini Marshall Field and Company e un bisavolo su governatore del Massachusetts. Aveva solo 17 anni quando fu invitata al Black & White Ball, prima sua uscita pubblica. Capote si ricordò dello scatto che quattro anni prima le fece Diane Arbus, con annessa minaccia del padre di citarla in giudizio.
Quella ragazzina dai lunghi capelli lisci e i grandi occhi scuri, dopo quella sera entrò a far parte del mondo della moda diventando una delle più grandi modelle della sua epoca. Fu a lei e al suo stile che si ispirò molti anni dopo Kate Moss per emergere.
Era una tale vergogna sociale, una macchia indelebile su una reputazione sino a un momento prima impeccabile non esserci che il proprietario del marchio Revlon, Charles Revson cercò di comprare un biglietto, ma come dichiarò lo stesso Capote “il mio è l’unico ballo in venticinque anni a cui le persone potevano partecipare senza dover pagare duecento dollari a biglietto a scopo di beneficenza”.
Capote riuscì nell’impossibile tentativo di bloccare la più sfavillante e caotica città del mondo. Se New York era il centro del mondo, il Plaza quella sera ne fu il nucleo centrale.
Arrivarono così tanti aerei privati all’aeroporto LaGuardia che dovettero fermare il traffico commerciale per consentire agli ospiti della festa del secolo di atterrare in tempo e non perdersi il divertimento. Le strade di Manhattan brulicavano di limousine, tanto che le compagnie staccarono i telefoni non essendo più in grado di rispondere alle tante richieste. Miliardarie e attrici rimasero pazientemente in fila al più rinomato salone di bellezza del parrucchiere Kenneth Battelle. Tutti volevano essere più che perfetti, indimenticabili.
Il primo ad andarsene fu Frank Sinatra alle 2.45, che tirò sino all’alba al Jilly’s, il suo bar preferito. Gianni Agnelli e i suoi seguaci invece giocarono a poker per tutto quello che restava della notte seduti ai tavoli del ristorante Elaine’s. La sala si svuotò, l’incanto era finito. Capote con quel suo sguardo cinico e fintamente indifferente disse “È stato proprio quello che doveva essere. Volevo solo dare una festa per i miei amici”.