Potrebbe scoprirsi, nei suoi versi, un filo lieve di malinconia che percorre le riflessioni sull’esistenza umana, sulla propria esperienza.
L’impronta del tempo, di Petr Halmay, Edizioni del Foglio Clandestino, con traduzione di Antonio Parente, e una nota di Pavel Hruška, è un libro di poesie del poeta e prosatore ceco.
“Il mondo poetico di Halmay è così molto spesso costruito come un concentrato di immagini semanticamente remote ed eterogenee: il tempo e lo spazio qui perdono il loro carattere storico-cronologico e di fisica obiettività e si trasformano in un singolare estratto delle più diverse entità esistenziali, nel medium privato delle considerazioni e delle reminescenze poetiche”, scrive Hruška.
“Di notte la spiaggia giace defunta …/ I fiori succhiano sangue/ dalla gelida sabbia,/ Il lago traccia suoni./ Fino al mattino/ l’enorme corpo riverbera nella profonda quiete./ Ora, proprio ora il grido solitario di un gabbiano si è fracassato contro la terrazza candida dell’albergo./ E la minaccia d’annegamento/ sembra soltanto un accenno”, sono i versi del poeta nato a Praga nel 1958. Petr Halmay come altri della sua generazione ha dovuto subire la censura del regime.
Le sue poesie sono immagini, sono parti in lotta, sono un costante dissidio, sono ricordi che affiorano dal passato e non conoscono uno spazio definito. La scrittura, i versi, sono il filo della memoria che collega passato e presente.
“Scrivere versi a quarantun’anni./ Che decadenza!/ Amare l’impronta del tempo/ nel proprio cervello./ Le immagini scompaiono all’orizzonte in lontananza./ Immagini, sensazioni, la propria storia – tutto./ Continuiamo a percorrere la vecchia via/ e lei è ancora alla porta del bagno pubblico - / formidabile cromotipia, / che ci costò tutta la giovinezza”.