In un giorno che non vuol finire, quando il sole è appena scivolato in fondo al mare coprendo d’ombra le rive, aspettare la luna è privilegio.
Nel giardino degli incontri perduti e delle notti rubate, attendere sotto un pero che arrivi il buio nero, nessuna luce ad illuminare i lontani angoli dei confini delimitati da provvisorie pareti di tufo. Un barbagianni osserva il terreno poggiato sul ramo di un gelso. Il gatto domestico scruta con disinvolta tranquillità un piccolo topo, sfortunato ed imprudente, presto oggetto dei suoi giochi.
Il pero dona i suoi frutti verdi ed arrossati a quanti sostano sotto di lui prima di rivolgere lo sguardo ai puntini luminosi nel blu di Prussia. Morderle con voracità, apprezzarne la bontà e raccogliere infine i semi per replicare all’infinito la generosità di questo piccolo albero. Illuminato dalla luce artificiale esibisce con eleganza la sua delicata bellezza, il suo travolgente desiderio di condivisione. Furtivo un geco imprigiona con la sua lingua una zanzara.
Sotto il pero raccogliere frutti, riempire una cesta da portare in dono a chi aspetta l’alba dall’altra parte della strada o sulla riva opposta, altra visione del cielo nuovi chiaroscuri, diverse tavolozze a cui attingere colori.
Se la luna dovesse ancora tardare ad arrivare, su questo pero rimarrebbero solo foglie. Una formica in perlustrazione trova una scia di molliche da seguire, chiamerà le altre per fare provviste per l’inverno.
Sotto un cielo di stelle sotto un albero di pero a mancare sei tu. Dove sei, dove sei, dove sei.