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Suzanne Valadon, l’artista che ha creato se stessa

Suzanne Valadon, l’artista che ha creato se stessa

Lei coglie la mela, lui le tiene il polso che la sorregge, entrambi nudi, lei completamente, lui coperto solo di foglie. 

Il richiamo biblico di Adamo ed Eva si ferma lì, lei non è costola di lui, anzi. Suzanne Valadon pittrice, raffigura se stessa con il suo compagno e amante, André Utter, amico del figlio e di  21 anni più giovane di lei.

È la prima volta che una donna dipinge un nudo, non sarà il suo unico tabù infranto. Cresce in una famiglia che a stento può essere definita tale, ha solo una madre disattenta e alcolizzata. “Della mia infanzia ricordo tanta povertà e l’indifferenza di mia madre” disse lei in seguito.

A 15 anni diventa acrobata nel circo di Mollier, poi musa per i più grandi pittori del tempo, come Renoir, di cui fu, per breve tempo, anche amante. Un amore romantico e gentile, lui la dipinse più e più volte, come ne Le bagnanti insieme ad Aline, altra sua giovane musa.

L’amore finì quando lui vide i disegni di lei, ne comprese il talento, la guardò per la prima volta come una possibile avversaria e scelse la più placida Aline.

Non si chiamava realmente Suzanne, quel nome le fu cucito addosso da Toulouse-Lautrec, un altro riferimento biblico. 

Nasce Marie-Clémentine Valadon, ma sarà Suzanne per tutta la sua vita. Di Marie-Clémentine restava solo uno sbiadito ricordo di lei sarta, pasticciera, fiorista, cavallerizza.

A 18 anni concepì un figlio, destinato a offuscare per sempre la memoria artistica della madre. Fu incapace di essere madre se non a sprazzi, replicò lo stesso schema di assenze e mancanze di affetto. L’unico dono che fece al suo fragile figlio fu la passione per la pittura.

Suzanne Valadon fu la prima donna ad essere ammessa alla Société Nationale des Beaux-Arts, non era ancora arrivato il Novecento e lei era già proiettata in un futuro che non era ancora arrivato.

Degas la prese sotto la sua ala, aiutandola a partecipare al Salon des Indépendants e al Salon d’Automne. “Ho avuto grandi maestri, da cui ho preso il meglio, ovvero i loro insegnamenti, i loro esempi. Ho trovato me stessa, ho creato me stessa e ho detto ciò che avevo da dire”.

Dipinge paesaggi francesi, fiori, nature morte, ritratti e soprattutto nudi. Disegna la vita che avrebbe voluto, la libertà, la bellezza, il profumo dei fiori, l’amore, i colori forti, vibranti, nessun grigio a ricordare il fango in cui camminava, nessun nero a far sentire i morsi della fame.

“Dare, amare, dipingere” ripeteva come un mantra. Assorbì l’arte da “quei vecchioni” che le valsero il nome di Suzanne.

Rompe con tutti gli schemi artistici, rifiuta ogni dogma, nei suoi ritratti le donne fumano per se stesse, su divani su cui hanno scelto di stendersi. Ogni cosa è fatta per se, non per chi guarda.

“Anche le donne della Francia possono dipingere. Ma sai, chérie, penso che Dio mi abbia reso la più grande pittrice francese” disse di se. Forse era vero. Nel frattempo quell’unico figlio cresceva, tra l’oblio di una mente che troppo spesso lo abbandonava e la forza di una mano capace di una grandezza assoluta. Fu l’unico uomo a spegnerne il talento, offuscandolo. 

Quel figlio che prese il nome di un padre non suo, che lo riconobbe non curandosi mai di lui, dandogli un cognome per puro vanto, come lui stesso disse “Sarei molto felice di dare il mio nome ad uno dei lavori di Renoir o Degas!”.

Quel figlio che crebbe con una nonna che curava i suoi attacchi di epilessia con il vino rosso, che entrò e uscì dagli ospedali psichiatri per tutta la vita, ma che riuscì a discapito di tutto a prendersi un nome che tutti avrebbero ricordato e ammirato. 

Quel figlio così poco amato era Maurice Utrillo.

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