Freddo, finalmente direbbe qualcuno, freddo e pioggia, vento e neve, inverno, gennaio con i suoi trentuno giorni, gli ultimi sempre gelidi.
I giorni della merla, così freddi da lasciare senza fiato, per accontentare febbraio che ritira il testimone da affidare all’arrivo del mese della primavera. “Nel mese dell’inverno,/ quando c’è freddo e gelo/ vogliamo intorno al fuoco/ far risate e canzoni/ parlare con gli amici/ e dipingere il cielo/ dedicarci all’amore/ non avere padroni”, scriveva Giuseppe Pontremoli. Non avere padroni, mai, chiacchierare, parlare con gli amici ai quali piacciano le parole e non amano i silenzi. Gennaio di neve, lontana la primavera passata, e la successiva incerta. “Ormai passò la rosea cavalcata/ dei giovinetti mesi ingannatori,/ che vestita l’avean tutta di fiori/ e di sole e d’azzurro incappucciata./ Or ripensa la grande traviata/ d’Aprile i ricci e i facili rossori;/ e derelitta guarda i suoi squallori/ e fa l’ammenda delle sue peccata./ E viene per perdono a fra’ Gennaio,/ dicendo l’atto di contrizione,/ e s’umilia e gli bacia il vecchio saio./ «Padre - gli dice - voglio farmi monaca.»/E quei sorride incredulo e le impone/ di neve fugacissima una tonaca”, scriveva il poeta Camillo Sbarbaro.
Gennaio, freddo, bianco. “Nevica: l’aria brulica di bianco;/ la terra è bianca, neve sopra neve;/ gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco,/ cade del bianco con un tonfo lieve./ E le ventate soffiano di schianto/ e per le vie mulina la bufera;/ passano bimbi; un balbettio di pianto;/ passa una madre; passa una preghiera!”, il riconoscibile stile di Giovanni Pascoli.