Nel sottotetto di una vecchia mansarda mi fa compagnia nel trascorrere lento delle ore, inesorabilmente lento, mentre tutto tace.
E unico segno di vita è il suono della campana che segna il mezzogiorno. Ora in cui il sole è nel suo punto più alto e lei affacciata alla finestra sorride al piccolo pettirosso che la saluta sul davanzale.
Egle mi fa compagnia da un anno. Ha scelto lei dove sistemarsi, lo ha fatto capire con piccoli segni, lievi movimenti di disappunto. Da quando è alla finestra mi regala doni preziosi, ascolta i miei silenzi carichi di pensieri.
Egle è un piccolo ma audace anthurium, dai fiori in una singolare sfumatura di rosso che vira al rosa scuro. Vive qui con me da un anno, mi dà il buongiorno quando arrivo e io la saluto ogni sera andando via, lasciandola a contemplare le stelle e a guardare la luna, a sognare una fuga.
Spesso mi chiede di portarla a fare un giro sui tetti, si mette in posa per gli scatti, lei che non ama i selfie. Eccola apparire sul muro perimetrale del vecchio palazzo, su un cornicione, tra le tegole al sole.
Egle è un anthurium dalle foglie verde intenso e cuoriformi, innamorata della vita a cui si aggrappa con tenacia. Le apro la porta per farle respirare aria e lei sorride divertita al vento invernale che la insidia.
Non teme Egle la solitudine, che predilige nelle ore notturne e nei fine settimana, quando ormai sola può lasciare la sua fantasia appropriarsi di carte e scartoffie.
Non ci si può non innamorare di lei e non perché i suoi fiori erano le frecce dell’arco di Cupido, semplicemente per la sua innata capacità di ascoltare e di regalare serenità. Egle è discreta, volge il suo lato migliore al cielo e agli umani non resta che ammirare il suo fogliame. Ricorda te, quando volgi la testa dall’altra parte perché sai che il mio sguardo è per te.