Se un fiore fosse solo un fiore che sboccia, splende e appassisce nella successione di attimi non avremmo di che parlare.
Di teatranti e teatri a forma di corolla.
Se la primula fosse solo una primula saremmo qui ad aspettarla, come primo lontano messaggio di una primavera che arriverà e ci renderà liberi, felici e gioiosi.
Se la primula fosse un numero sarebbe 500 come le specie conosciute, e ci inonderebbe di speranza colorata di rosa, fucsia, viola, rosso e anche giallo. Di sicuro non sarebbe il 21 né il 1200 che non hanno senso per chi sa quando nascere, perché fiorire e come splendere. Senza sprecare nulla. Dando più di ciò che riceve.
Se di primula davvero stessimo parlando ci sentiremmo protetti da quei fiori che sbocciano ad ombrello, nati per proteggere dal troppo sole, da una pioggia improvvisa. Nati per dare riparo a chi ne ha bisogno.
Se fosse una primula l’oggetto di tanto contendere non ci sentiremmo defraudati, da lei che è perenne e non è mai un illusorio cambio di scena per nascondere un trucco malfatto.
Se fossero davvero primule quelle che aspettiamo potremmo godere del loro potere calmante, dalle troppe ire che a stento conteniamo in noi, depurante per l’eccesso di maltolti e mal-torti che ogni giorno ci vengono inflitti. Sarebbe un tonico per il nostro sistema nervoso ormai allo stremo.
Ma ahinoi, non parliamo davvero di primule. Loro guardano e “Ridon le primule nel prato, gialle” diceva Rodari che, si sa, aveva capito tutto.
No Virginia non ti porteremo “le primule che si aprono alla luna”. In sette giorni non si semina e non cresce un fiore. Ci vuole tempo per le cose ben fatte. Ci vuole il tempo che siamo stanchi di aver perso, dietro a primule che non son fiori.
Perché se fosse un fiore sarebbe proprio come diceva Antonia, “e questa prima erba, chiara, libera dalla neve, fa pensare alla primavera e guardare se ad una svolta nascono le primule”.
Se davvero fossero primule, saremmo tutti qui ad aspettare la svolta.