Nero, come l’inchiostro. Nero, come le tenebre, nelle notti in cui il cielo è coperto di nubi. Nero come il buco in cui tutto finisce.
Da contrapporre al bianco, di un foglio word. Bianco come il giorno. Bianco come la luce in cui tutto inizia. Bianco, come la neve prima che diventi fanghiglia lungo i bordi dei marciapiedi della città. Ricordi l’ultima neve in aprile, quando i germogli appena nati provarono un brivido freddo che li rese neri, morti?
Un aprile insolito, Bari, la nostra città già sognava la calda primavera quando all’improvviso le temperature precipitarono e graziosi fiocchi di neve caddero copiosi dal cielo. Imbiancarono case, terrazzi, strade, alberi, parchi, moli.
La gioia dei ragazzi per strada strideva con la dilaniante preoccupazione degli adulti che sapevano della mancanza delle adeguate attrezzature per affrontarla, se la neve fosse scesa a lungo incessantemente da quel cielo, bianco.
Era il 2003, Bari era insolitamente silenziosa. Nessuna coda ai semafori, nessun ingorgo al sottopasso di via Brigata. Solo qualche sparuta auto e pedoni con improvvisate scarpe da neve. Le palle ben preparate coprivano le distanze dei cortili condominiali dove gli scolari giocavano al tiro al bersaglio. Le riserve di carote nei frigoriferi divennero nasi per i pupazzi, di neve.
Il mare era quasi sorpreso dal litorale bianco, freddo, gelato, inusuale. Dalla finestra del settimo piano osservavo i ragazzi, guanti e sciarpa, creare sculture con la soffice neve. Due pupazzi ben panciuti, naso di carota, occhi di carbone, sorriso di peperone, aspettarono la sera guardando l’orizzonte per poi sciogliersi il giorno dopo con il sole.
Neve, bianco, sull’asfalto, nero. La carota sorride mentre un cane randagio la sgranocchia. Arancione.