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Le verdi colline d’Africa o forse no

Le verdi colline d’Africa o forse no

Nasce tutto da un piccolo, trascurabile fraintendimento, lo spettacolo da portare in scena.

Due attori si ritrovano così su un palco senza sapere bene cosa fare e si è consumato così, in settantacinque minuti un dialogo a tre tra Sabina Guzzanti, Giorgio Tirabassi e il pubblico del teatro Kismet di Bari.

Le verdi colline d’Africa - scritto, diretto e interpretato da Guzzanti - richiama nel nome Le verdi colline d’Africa di Ernest Hemingway così come la Regina d’Africa di John Houston del 1951, ennesimo fraintendimento, un modo per confondere le acque già torbide di loro se si pensa che lo spettacolo è liberamente ispirato al testo teatrale del premio Nobel per la Letteratura Peter Handke, Insulti al pubblico. 

Non racconta nulla e al tempo stesso svela l’essenza intima della cultura che “ha perso la capacità di nutrirci, come la frutta e la verdura” e del teatro che, resta “un rito collettivo”.

Nell’opera di Handke (tra l’altro sceneggiatore de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders) il teatro rinuncia a tutti i suoi schemi, al polveroso conservatorismo e si denuda davanti al pubblico, come un pendolo oscilla tra le gabbie di un linguaggio precostituito e il potere della liberazione. Sabina Guzzanti prende il messaggio di Handke e lo fa suo, duettando con Tirabassi tra il serio e il faceto, tra una risata e un “Se non sono un personaggio sono una persona” e porta avanti un rito fatto di “azioni simboliche…che tramandano e rappresentano quei valori e quegli ordinamenti che sorreggono una comunità” come dice bene Byung-Chul Han.

Nulla viene svelato di questo grande fraintendimento, restano due persone su un palco, un pubblico silenzioso sull’altra sponda e in mezzo un mare di parole. A noi darne un senso.

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