Visioni d'insieme

Anna Magnani, la vita è fatta di sbagli e di ferite

Anna Magnani, la vita è fatta di sbagli e di ferite

Un dono che la madre non le fece mai è stato crescerla, amarla e darle un padre. 

Con una risata amara delle sue mise fine alla ricerca del genitore mai conosciuto.

 “Non voglio essere figlia Del Duce” disse Anna Magnani dopo aver scoperto l’identità del padre, il nobile e giurista calabrese Pietro Del Duce, ponendo fine al primo capitolo amaro della sua vita. La madre la abbandonò presto alle cure della nonna, Giovanna Casadio, delle cinque zie Dora, Maria, Rina, Olga e Italia e dello zio Romano. Tutto nella sua vita ha avuto il sapore della tragedia e della risata, di quel farsi beffa del destino a testa alta. Tutto era grande ed esagerato, un po’ come il suo talento. Si dice che l’astronauta Jurij Gagarin, dal  Vostok 1, il 12 aprile 1961, inviò come messaggio: “Saluto la fraternità degli uomini, il mondo delle arti, e Anna Magnani”.

Anna è diversa da tutte. È una creatura incredibile, metà femmina e metà maschio. La sua anima è un tutt'uno con il suo utero, materno e possessivo alla stessa stregua. Una volta che ti ha generato è pronta a fagocitarti. Di virile ha la cocciutaggine e la permalosità” disse di lei il suo amico Tennessee Williams che per lei scrisse La Rosa Tatuata il cui adattamento cinematografico portò la Magnani ad essere la prima donna italiana, nel 1956, a vincere il Premio Oscar come migliore attrice protagonista  e la prima al mondo di madrelingua non inglese. Sempre per la sua interpretazione di  Serafina Delle Rose vinse anche un BAFTA come attrice internazionale dell’anno e un Golden Globe alla migliore attrice in un film drammatico.

Il nocciolo di quello che Anna Magnani diverrà da grande si forma nella sua infanzia, in quel nucleo allargato che le dona gioia e protezione. “Mia nonna, che personaggio fantastico! Un angelo. Una forza. Il fuoco. La dolcezza. Il velluto. Era bellissima, con quel suo viso dai lineamenti finissimi. Era una donnina minuta e fragile, e al tempo stesso mi sembrava enorme. Si, perché rideva sempre, e parlava, parlava, parlava, di tutto e di niente, e soprattutto dei suoi capelli bianchi”, quella nonna con cui passeggiava per le vie di Roma cantando Reginella. La nonna le permise di avere l’istruzione migliore, ali per spiccare il volo, prima la iscrisse al collegio di suore francesi e dopo pochi mesi al liceo musicale di Santa Cecilia dove si perfezionò nello studio del pianoforte. Attraversò il Mediterraneo per raggiungere la madre, nel frattempo sposata con un ricco uomo austriaco, ad Alessandria d’Egitto, ma non scattò la scintilla. La madre rise quando vide quella ragazzina con un buffo cappello in testa e lei per protesta da quel giorno non ne indossò mai più uno.

Come un otre cercò di contenere la sua grandezza in un’unica persona. Ma l’essenza di ciò che era, traboccava e tutti erano assetati di bere alla sua fonte. Bette Davis disse “La Magnani è la più grande attrice che abbia mai visto”, lei quando andò a New York per lavoro chiese di incontrarla e dopo quell’incontro le scrisse una lettera “Cara, cara Bette, prima di partire Voglio scriverti, senza aspettare il mio arrivo a Roma - ho voluto scrivervi l'ultima sera del mio soggiorno a New York per avere più tempo per restare con voi - non vi dimenticherò mai - non dimenticherò mai il nostro incontro, non dimenticherò mai il Vostro viso - lo porterò con me in Italia - non so perché sono uscita da casa vostra emozionata e sbalordita - l'emozione di starvi davanti voi viva davanti a me viva, dopo avervi tante tante volte ammirata, divorata sullo schermo - sbalordita dalle vostre interpretazioni sbalordita perché di colpo mi sono trovata nello stesso tempo in camera vostra, davanti a una bambina - giuro l'impressione che ne ho ricevuta è stata grandissima - una donna piena di vita, con tanto dentro, tanto calore tanto giovanile interesse per tutto - avete ancora tanto da dire con la vostra arte - ma tanto di tanto grande ancora. lo ero davanti a voi senza parole. Vi ricordate? Vi guardavo vi ascoltavo parlare, ero diventata come un agnello ero ipnotizzata. Cara cara grande Bette - siete così umana così tremendamente umana e io mi sento molto vicina a Voi mi sento molto simile a voi, come donna. Come artista voi sapete cosa siete per me. Difendete sempre la vostra arte - difendete sempre la vostra libertà artistica contro tutto e tutti. Solo così si è se stessi e nel Vostro caso, solo così si è una grande attrice. Vi abbraccio, vi abbraccio con infinita emozione e devozione non vi dimenticherò mai”.

Non ha dovuto imparare ad essere, come la gran parte degli esseri umani, è nata Anna Magnani. Nel 1927 quando iniziò a frequentare la scuola di arte drammatica Eleonora Duse con Paolo Stoppa, Silvio D’Amico (allora direttore) di lei disse “la scuola non poteva insegnarle molto di più di quello che ha già dentro di sé…non recita, vive le parti che le vengono assegnate. E’ già un’attrice”.

Fu grandissima in tutto ciò che fece, Giuseppe Ungaretti folgorato dalla sua interpretazione in Roma città aperta scrisse “Ti ho sentito gridare Francesco dietro un camion e non ti ho più dimenticata”.

Nel 1953 decise di tornare a recitare a teatro. Nel 1966 sceglie Medea di Menotti, sua ultima interpretazione sul palco, alla prima arrivò anche Eduardo de Filippo, le si avvicinò e le disse “sai che non vado mai a teatro, neanche a vedere le mie opere, sono venuto solo per te”. Fu incantato dalla sua grandezza per tutta la vita e tramutò il dolore per la sua scomparsa in accorati versi “Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano gli occhi di Nannarella che seguivano le camminate lente sfiduciate ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo li hanno uditi”.

Una funambula in bilico tra tragedia e risate “La prima cosa che conobbi di Anna Magnani fu la sua risata. Era una risata forte, prepotente, dolorosa, una risata quasi feroce che mi ferì i timpani e il cuore. Era un’eccezione fisica di straordinario talento”. Disse di lei Vittorio De Sica, mentre Fellini ne scorse il lato intimo più solitario e indifeso “Non posso dire di sapere bene chi era Anna. Mi sembrava una donna molto chiusa, diffidente, impaurita, gelosa di se stessa. La prima a non credere al suo personaggio pubblico, fatto di esuberanza, di estroversione, aggressività, dietro il quale, anzi, si nascondeva. Invitato a parlare di lei, a fornire una testimonianza obiettiva sulla sua persona, finisco per trovarmi sempre in difficoltà: anche se io ho avuto modo di coglierla in qualche momento di solitudine, dove forse era più indifesa e lasciava intravedere improvvisi pudori, riservatezze, veri e propri incupimenti in cui si lasciava scivolare, in fondo per me Anna rimaneva egualmente una creatura sconosciuta e misteriosa”.

Ha vissuto intensamente pagando ogni sua scelta. E’ stata forte e fragile, tragica e comica “Ho dentro di me tante figure, tante donne, duemila donne. Ho solo bisogno di incontrarle. Devono essere vere, ecco tutto.”

Quando nel 1934 con i fratelli De Rege decide di lavorare nella rivista, incontra Totò, fondano una compagnia, l’incastro tra i due è perfetto. Elsa de' Giorgi, amica di Anna, ricordando quel periodo scrisse “Nella coppia Toto-Magnani si incontrarono due creatori, due improvvisatori, due artisti autentici che portavano sul palcoscenico quello che il teatro vuole che si porti. Agli spettacoli di Totò e Anna io ho visto cose davvero straordinarie, il pubblico delirava veramente. Insieme avrebbero potuto, tanto erano trascinanti, creare un partito, accendere una sommossa”. Il principe De Curtis di lei disse  “Come dice Questa donna, a me mi dà alla pelle”.

Era tutto tranne che perfetta “Diffidate delle persone che sanno di perfezione, perché la vita è fatta di sbagli e di ferite” e quando verso la fine le chiesero del suo rapporto con la morte lei disse “Sono pronta. Ho lavorato molto per prepararmi. Ho lottato, ho urlato alla vita, e oggi posso sorridere alla morte. No, non mi inchinerò all'ultimo momento davanti a un Crocefisso. Lo guarderò come un altro me stesso che è morto solo, perché un giorno su questa terra nessuno possa più mentire. Lo so, la gente intorno a me sarà triste, ma io non lo voglio. Voglio che si possa dire: «La Magnani ha fatto quello che ha potuto, e neanche troppo male». Voglio che la gente si asciughi le lacrime e pensi di me: «Fino alla fine si è battuta perché la sua vita avesse un senso». Quando i miei occhi si chiuderanno, voglio che la gente sia felice, perché ho sempre vissuto per potere un giorno accettare una morte semplice e dolce come quella di mia nonna. E quel giorno, come ultimo desiderio, vorrei che nelle scuole tutti i bambini cantassero in coro Reginella”.

La canzone che lei bambina, cantava alla nonna, passeggiando per le vie di Roma.

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